La sfida della sostenibilità per l’impresa e dell’agilità per le risorse umane

La sostenibilità è ormai entrata nell’agenda dei vertici aziendali, se non per una scelta etica e di responsabilità sociale d’impresa, per esigenze di business, per rispondere prima di tutto agli investitori, sempre più attenti agli standard internazionali SDGs dell’ONU.

Il 25 settembre 2015, infatti, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese), articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030.

Non solo per gli investitori, ma anche per dialogare con consumatori sempre più esigenti ed attenti e – ultimo ma non meno importante – per rispettare un quadro normativo sempre più stringente.

La Direttiva Europea 2014/95/UE ha richiesto agli stati membri dell’Unione di introdurre proprio un nuovo obbligo in tema di dichiarazioni di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità.

Ciò che dunque fino ad ora era una previsione volontaria di disclosure, adesso diventa un obbligo, a partire dai bilanci al 31 Dicembre 2017 dopo l’entrata in vigore del D.LGS N. 254/2016. Dal bilancio 2017 un’ampia platea di aziende dovranno pubblicare una dichiarazione “di carattere non finanziario” relativa a temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.

L’impatto della sostenibilità sui processi aziendali

Ha occupato i principali giornali economici l’anno scorso il caso del fondo Arjuna Capital che per approvare il bilancio di Citibank ha chiesto di dettagliare il pay gap di genere all’interno del gruppo.

Anche nella vita quotidiana è ormai comune la dicitura “olio di palma- free” sui prodotti di consumo: una parola che porta dietro un costoso riposizionamento di molti beni di consumo, dopo la denuncia due anni fa dell’impatto ambientale per la sua produzione.

E si moltiplicano gli esempi di avvocati o piccoli imprenditori che hanno perso una commessa con una grande azienda, perché non rispondeva ai nuovi requisiti “non finanziari” di gruppo.

L’attenzione nei confronti dell’impatto ambientale e sociale del proprio business implica infatti, per una grande impresa, allargare questa attenzione anche a tutti i partner della catena di fornitura.

La sostenibilità sta quindi progressivamente diventando “virale” e superando i confini tra l’“interno” e l’”esterno” della realtà aziendale: la ri-definizione del modello di business ha infatti un impatto sui processi e sui prodotti, ma anche sui modelli organizzativi e sulla brand image.

Le 3 “P” di Elkington

Un cambiamento progressivo ma integrale che tocca in sintesi le tre “P” teorizzate nel modello della triple bottom line di Elkington:

  • profit,
  • planet,
  • people.

Un modello che presuppone prima di tutto una revisione del modello di business.

Profit

Per non fallire e continuare ad essere redditizia, l’azienda deve accettare la sfida della sostenibilità economica che impone di costruire un percorso virtuoso di sviluppo non solo del business ma anche del corretto approccio ambientale e sociale.

Un approccio che in prospettiva può portare anche alla revisione del fine ultimo non più centrato solo sull’utile economico ma su un concetto di benessere condiviso molto più profondo (P di “Profit”). 

Se cambia il “cosa” il business, deve cambiare anche il “come” cioè i processi e i prodotti: una revisione con forti basi tecniche e tecnologiche che deve portare a un’ottimizzazione degli impatti ambientali dei processi produttivi e dei prodotti in un’ottica di life cycle assessment – ovvero lungo tutto il ciclo di vita e quindi lungo tutta la filiera – che non analizza solo gli impatti aziendali ma anche ambientali e sociali.

Planet

sostenibilità d'impresa

E non più solo in ottica lineare – dalla produzione alla vendita o allo smaltimento – ma in ottica circolare (P di “Planet”). Infine ma non meno importate l’introduzione di uno scopo sociale: l’azienda non è più una “monade”, un’unità produttiva a sé stante ma è un’entità che si integra e interagisce con il territorio. Di qui l’inserimento nella missione e nei valori dell’impresa del raggiungimento di un benessere condiviso generale tra tutti gli stakeholders pubblici e privati con i quali interagisce (P di “People”).

People

meeting hr agile

Come impattano queste trasformazioni graduali ma profonde dell’azienda sul ruolo e sulla funzione dei responsabili risorse umane?

Imponendogli di essere “agili” nel rispondere a questo cambiamento per supportare il business e per rispondere alle nuove aspettative dei dipendenti ma anche dei fornitori e dei clienti.

La cultura “agile” – che in inglese significa agile nel senso di flessibile, veloce, snello, trasversale – nasce dal Manifesto Agile pubblicato nel 2011 nel settore IT e si contrappone al modello a cascata (waterfall model) e altri modelli di sviluppo tradizionali, proponendo un approccio meno strutturato e focalizzato sull’obiettivo di consegnare al cliente, in tempi brevi e frequentemente (early delivery/frequent delivery), con software di analisi e monitoraggio di dati molto più complesso e adattativo.

Riportato in ambito risorse umane, questo significa ripensare l’employee journey tutto il ciclo di vita cioè delle proprie persone in azienda, dal momento in cui vengono assunte a quando restano in azienda, facendo leva sulle immense opportunità che il digitale e le nuove tecnologie possono offrire.

Le innovazioni si applicano quindi fin dal momento della ricerca e della selezione di nuove risorse, con l’utilizzo di intelligenza artificiale e di chabot in fase di analisi dei profili.

Gestione dei team AGILE

Ma l’intero processo di gestione delle risorse umane è rivisto con un approccio che in gergo è definito human centered design: ad una struttura più gerarchica si preferisce l’organizzazione per network, al controllo si sostituisce il concetto di empowerment, a quello della pianificazione strutturata quello dell’esperienza.

Fra le pratiche promosse dai metodi Agile ci sono la formazione di team di sviluppo piccoli, poli-funzionali e auto-organizzati, lo sviluppo iterativo e incrementale, la pianificazione adattiva, e il coinvolgimento diretto e continuo del dipendente e del cliente nel processo di sviluppo.

In tutti questi casi la funzione HR non è quindi più né lineare, con un referente decisore – il capo azienda, o il capo dipartimento – e un interlocutore dipendente, né unilaterale ma è chiamata a co-progettare soluzioni a 360° e si trova a giocare un ruolo di formatore e agente del cambiamento per favorire l’introduzione e l’utilizzo di nuove soluzioni e servizi.

Una vera sfida, un cambiamento culturale che consentirà a “risorse umane” di ridare pieno significato a questo termine.