L’homeworking? Sì, ma solo se è smart funziona

Da quando tutta l’Italia è #zonarossa, l’emergenza per il nuovo virus #Covid-19 è diventata strutturale e le aziende hanno dovuto rispondere rapidamente all’urgenza di dare continuità alla propria attività. Il Governo ha fatto la sua parte, facilitando l’utilizzo del lavoro da remoto – detto anche #smartworking o #remoteworking – da parte di tutti i collaboratori di un’impresa, anche in assenza di accordi già stabiliti, per evitare il più possibile gli spostamenti e i contatti tra colleghi.

Ma questa nuova modalità di lavoro – normata per legge nel 2017, facendo tesoro delle diverse sperimentazioni da parte di aziende innovative – in realtà è nata proprio per facilitare la massima flessibilità nell’utilizzo dei tempi, degli spazi e delle relazioni professionali, a differenza del telelavoro che era invece una “replica” dell’ufficio dentro le mura domestiche. Lo smart working è infatti prima di tutto – secondo la definizione dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, ripresa dalla legge – una vera e propria filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Lavoro agile e smart working

agile home working

Nel lavoro agile non ci sono quindi precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro: la prestazione lavorativa viene eseguita sia all’interno degli uffici aziendali sia all’esterno, senza una postazione fissa, con il solo limite dell’orario di lavoro. E il criterio fondamentale per definire il “lavoro svolto” non è più la presenza fisica in una postazione, ma il raggiungimento di obiettivi pianificati e condivisi con i propri responsabili e il proprio team.

Una vera e propria rivoluzione quindi rispetto all’impostazione tradizionale del lavoro ancora molto diffusa nel nostro Paese, che ha avuto un successo notevole in pochi anni ed è ormai una realtà nella metà (58%) delle grandi imprese in Italia, ma anche tra le  piccole o medie imprese: una su dieci lo sta sperimentando (12%), lo stesso fenomeno nella Pubblica Amministrazione (16%).  Questa modalità di lavoro basata sulla fiducia e la responsabilizzazione è una forte leva motivazionale per i collaboratori: l 76% degli smart worker è soddisfatto del proprio lavoro (contro il 55% degli altri dipendenti) e  uno su tre è pienamente coinvolto nella realtà in cui opera, rispetto al 21% di chi lavora in modalità tradizionale. [1]

L’attuale crisi potrebbe favorire un’ulteriori sviluppo di questo strumento in tutto il tessuto produttivo del nostro Paese, ma può conservare la sua forza innovativa solo se non viene snaturato. Molte persone infatti – sia manager che collaboratori – si sono visti costretti dall’oggi al domani a lavorare da casa e si sono trovati impreparati sulle modalità per farlo. Non tanto quelle tecnologiche – perché device e connessione ormai in Lombardia sono “beni di prima necessità”, entrati anche nel paniere Istat – ma quelle organizzative e relazionali. Anche perché a differenza dei tempi normali, ora siamo confinati per obbligo dentro casa e quindi lavorare da qui non è una scelta e per di più dentro questo spazio all’attività professionale si somma quella casalinga, magari con dei figli a casa da scuola o un partner o coinquilino che rivendicano il nostro stesso spazio e silenzio.

Una nuova sfida

home working

Una grande sfida quindi re-impostare il lavoro, organizzando riunioni che siano compatibili con gli orari di tutti i partecipanti, dare obiettivi dove forse fino a ieri il principale era recarsi in ufficio ed essere a disposizione, delegare attività quando fino all’altro giorno in molti casi venivano assegnati compiti da eseguire. 

Riusciremo a cogliere questa grande opportunità? Sì, se ci ricorderemo la prima parte di questo acronimo tanto di moda oggi “smart”, ovvero “rapido”, “duttile”, “innovativo”. E per riuscirci è necessario non solo cambiare -forzosamente –  il luogo ma anche le modalità di lavoro. Certamente molto difficile, ma potrebbe anche essere divertente, e abbiamo il tempo di sperimentare senza farci troppo male, in questo momento storico dai tempi dilatati. Per uscirne meglio, anche sul lavoro, dopo la crisi.


[1] Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, ottobre 2019.