Agile working: come superare skill mismatch e “crisi da rigetto”

La pandemia ha accelerato un cambio cruciale già in corso nel nostro Paese, quello del lavoro da remoto, con tempi e spazi diversi da quelli tradizionali dentro l’azienda.

Ma ha anche creato confusione tra quello che è una semplice trasposizione dell’ufficio a casa propria – home working, lavoro da remoto – e quello che invece è una vera e propria innovazione organizzativa, come lo smart working e l’agile working.

Entrambe queste modalità di lavoro sono state concepite con l’obiettivo di alleggerire, velocizzare e migliorare le prestazioni lavorative e offrire vantaggi sia ai datori di lavoro, sia ai lavoratori.

Smart working

Lo smart working in particolare 

è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Agile working

meeting hr agile

L’agile working, invece, è un’ulteriore evoluzione dello smart working: è una pratica che nasce in ambito IT per velocizzare ancor di più i tempi, per scegliere i percorsi d’esecuzione più corretti a seconda del contesto e per concretizzare l’autonomia progettuale reale.

Questo avviene quando il team può agilmente occuparsi della realizzazione di un prodotto o servizio inserendo al proprio interno delle competenze e dei ruoli aggiuntivi, abbattendo la tradizionale divisione gerarchica aziendale.

Entrambe le modalità di lavoro si fondano sul ruolo fondamentale della fiducia tra i membri del team e sulla diversità delle competenze come valore aggiunto per il raggiungimento dei risultati.

Entrambe si fondano sull’utilizzo della tecnologia, che nel caso dello smart working diventa strumento per facilitare le comunicazioni a distanza, mentre nell’agile working si sostituisce anche alle comunicazioni scritte e burocratiche.

Smart VS. Agile

La vera differenza fra i due concetti è che l’agile working, in quanto tale, prevede la revisione dell’organizzazione aziendale al fine di creare team multidisciplinari. Proprio perché vengono meno le strutture gerarchiche, inoltre, è compito dei singoli gruppi portare avanti un progetto e valutarne lo stato di avanzamento e i margini eventuali di miglioramento.

L’agile working, insomma, non corrisponde semplicemente alla flessibilità di orario e luogo di lavoro: la vera discriminante è il lavoro di squadra – che deve quindi lavorare nello stesso luogo –  e il modo in cui questo viene organizzato.

Un numero crescente di aziende si stanno riorganizzando nell’ottica agile per saper rispondere in maniera pronta ed efficace ad un mondo sempre più complesso, che in gergo viene definito con l’acronimo VUCA e che è in sostanza caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità.

Gli head hunter ricevono con regolarità incarichi per cercare giovani manager con questa preparazione, ma non sempre la ricerca va a buon fine.

E questo per un duplice motivo: perché da un lato in Italia è molto difficile trovare persone che abbiamo già sperimentato questa modalità di lavoro e abbiamo potuto applicare in azienda questa “filosofia” – perché si tratta di un vero e proprio approccio al lavoro, per certi versi rivoluzionario – e dall’altro perché le imprese anche se ne hanno un estremo bisogno spesso non sanno poi integrare persone con queste skills all’interno di un’organizzazione che nella maggior parte dei casi ha ancora una vecchia impostazione gerarchica.

In base ad una ricerca di Boston Consulting Group, la stragrande maggioranza delle imprese riconosce la necessità di un nuovo modello organizzativo (73%), ma meno della metà ha effettivamente avviato questo cambiamento. Anche se i benefici di medio e lungo termine che derivano da un’organizzazione agile sono ormai evidenti – la stessa ricerca di BCG ha evidenziato che l’adozione dell’agile working moltiplica per cinque il grado di competitività e di profittabilità di un’azienda sul mercato – tra il dire e il fare c’è di mezzo la cultura aziendale.

Un cambiamento che l’attuale pandemia ha reso sempre più urgente da un lato, e più difficile da implementare in tempi brevi dall’altro.

Se infatti nel 2017 Mc Kinsey già stimava che circa 375 milioni di lavoratori – ovvero il 14% a livello globale – dovrebbero cambiare occupazione o acquisire nuove competenze, a causa delle innovazioni tecnologiche in corso, ora l’87% dei manager esecutivi riconosce apertamente questi gap di competenze.

Skill mismatch e crisi da rigetto

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Di fronte a questo skills mismatch in Europa la soluzione più diffusa (67%) tra le aziende è di inserire nuove figure che abbiano questi requisiti.

Il problema però è la “crisi da rigetto” dell’organizzazione stessa difronte a queste nuove figure più trasversali.

Perchè l’agile working si basa su una cultura aziendale molto forte e condivisa, basata sulla trasversaità dei ruoli e il lavoro in team, quello che dagli esperti viene chiamata il senso di “coscienza aziendale.”

Perché un’organizzazione sia davvero agile deve avere una forte coesione interna, un senso di appartenenza e di scopo condiviso e quindi una comunità di collaboratori molto ingaggiata e proattiva, come se l’azienda fosse un organismo vivente.

E in questo scenario, un leader per avere successo deve essere ispirazionale, saper influenzare e abilitare i processi, saper definire obiettivi chiari e sistemi di performance chiari e condivisi e saper gestire la complessità delle relazioni, senza paura di assumersi responsabilità e commettere errori.

Tutte qualità che in Italia sono molto ricercate, ma spesso sono difficili da trovare e da inserire se il contesto organizzativo è ancora di tipo tradizionale.

Con il rischio  di non  riuscire a valorizzare a pieno il loro potenziale.